Funambolica, eclettica, energica, trascinatrice. Sono solo alcuni degli aggettivi per descrivere la pianista giapponese Hiromi Uehara, che ieri si è esibita nel teatro all’aperto di Tharros nel concerto organizzato da Dromos Festival con il sostegno della Fondazione Mont’e Prama. Un’esibizione indimenticabile che ha trascinato il pubblico in un percorso di virtuosismi e improvvisazioni che hanno strappato applausi a scena aperta. Ovazione e standing ovation per l’artista del Sol Levante che ha ricambiato l’affetto con due bis. È stata l’occasione per presentare il suo nuovo album “Sonicwonderland”, uscito lo scorso ottobre, alla testa della sua band Sonicwonder, con Adam O’Farrill alla tromba, Hadrien Feraud al basso e Gene Coye alla batteria. Nell’ultima data italiana del tour europeo, Hiromi Uehara si è confermata talento di fama mondiale capace di continuare la feconda tradizione di pianisti jazz, da Toshiko Akiyoshi a Makoto Ozone, sbocciati nella terra del Sol Levante. Dal disco di debutto, “Another Mind” (2003), il suono di Hiromi (classe 1979) si è evoluto a ogni uscita, erodendo i confini tra jazz e classica, composizione e improvvisazione. Nella sua carriera Hiromi ha raggiunto diversi riconoscimenti tra cui un Grammy, frutto di un’esplorazione continua che la contraddistingue e dell’utilizzo di una tavolozza sonora del tutto unica e spiazzante.
Stasera, alle ore 21.30, la suggestiva cornice del teatro all’aperto di Tharros ospiterà l’attesissimo concerto di Fiorella Mannoia con la sua orchestra. Sold out da mesi, lo spettacolo della cantante romana, che replica domani alla stessa ora, si annuncia ricco di emozioni con l’interpretazione di brani che sono già entrati di diritto nella storia della musica italiana, a partire dall’iconico Come si cambia. Un evento speciale per salutare i settant’anni dell’artista romana (compiuti lo scorso 4 aprile), che nella sua tappa nella penisola del Sinis incrocerà un’altra ricorrenza: i cinquant’anni dal ritrovamento dello straordinario complesso statuario dei Giganti di Mont’e Prama.
Intanto ieri si è concluso il Festival Letterario dell’Archeologia con la presentazione degli ultimi volumi. Gli autori, presentati dal direttore artistico Giovanni Follesa, hanno dialogato con il giornalista Michele Pipia. Elisa Pilia con La bambina del vetro (Ed. Il Maestrale). propone due narrazioni costruite su due diverse linee temporali. Entrambe hanno la voce di Étienne che, ora con gli occhi innocenti di un dodicenne e ora con il cuore pesante di un ventiseienne, racconta dell’invasione nazista della Francia nell’estate del 1940 e del cammino, intrapreso quattordici anni dopo, per ritrovare un’amica scomparsa nel caos della guerra. “In quel caos che ha il lezzo di case bruciate e il suono di fucili e carri armati per le strade, – evidenzia l’autrice – Étienne conosce una bambina a cui mancano le parole. Aili è ebrea, non ha più una famiglia ed è affetta da afasia. Costretta al silenzio, ha trovato modi nuovi per comunicare. Étienne imparerà da lei che con le sfumature del vetro si possono raccontare storie senza voce”. Tempo dopo, nel 1954, la lettera lasciata da un soldato tedesco che aveva rischiato la propria vita per aiutare i due ragazzi, riapre un cassetto della memoria mai davvero chiuso. Fa scattare in Étienne l’impulso a una ricerca che si era ripromesso di non intraprendere. È l’inizio di un’indagine piena di sorprese, ritrovamenti e rivelazioni dove s’intrecciano i fili di legami misteriosi tra Aili e il soldato generoso, e dove saranno ancora le sfumature delle vetrate a dare senso a un passato che sembrava solo da dimenticare.
Chiusura della rassegna letteraria con la presentazione del libro Il castello delle congiure di Davide Cossu (Newton Compton Editori). Anche in questo racconto il motore è un delitto dal movente oscuro. Siamo a Ferrara, nell’autunno del 1442. La storia è avvincente: Leon Battista Alberti è invitato a corte per partecipare, in qualità di giudice, a un concorso indetto dal marchese Leonello d’Este: al vincitore sarà commissionato un monumento in onore del suo defunto padre, Niccolò III. Nel frattempo, approfittando dell’antica amicizia che li lega, il marchese incarica Leon Battista di indagare su un fatto spinoso che sta turbando la città: la giovane Laura Pendaglia, erede del cittadino più ricco di Ferrara e promessa sposa di Folco Bonacossi, ha deciso di rinunciare alle nozze e rifugiarsi in convento per farsi monaca. Mentre Leon Battista cerca di orientarsi tra giochi di potere e trame ordite dalle famiglie dei mancati sposi, il giovane Folco muore in circostanze che rimandano alle pagine dei romanzi d’amor cortese. Con l’aiuto dei suoi fidati compagni, il dotto Parentucelli e l’avventuriero de’ Conti, e di Margherita, un’audace e bellissima nobildonna, l’Alberti, in una giostra di amori, tradimenti e rivelazioni inaspettate, tenta di far chiarezza sulla scia di sangue che macchia la corte di Ferrara. Una traccia che conduce a una tragedia confinata nel passato oscuro degli Este, la cui ombra minaccia il potere di Leonello e la sorte stessa del suo casato.
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