(Federica Cannas) – Viviamo in un’epoca in cui tutto scorre a una velocità vertiginosa: notizie, stimoli, immagini, opportunità. Nulla si ferma e, in questo vortice incessante, i giovani sembrano essere i più colpiti. La loro capacità di sognare, immaginare e costruire il futuro appare sempre più soffocata dalla necessità di inseguire un tempo che non concede tregua. Ma siamo noi, come società, responsabili di questa corsa sfrenata? E se sì, cosa possiamo fare per restituire loro il tempo e lo spazio per coltivare i loro sogni?

Oggi tutto deve accadere “adesso”. Le esperienze sono ridotte a clip di pochi secondi, le emozioni condensate in una frase, e i sogni, che richiedono lentezza e profondità, sembrano anacronistici. L’ossessione per l’immediatezza non lascia spazio all’attesa, alla riflessione, alla contemplazione. Ma un sogno, per germogliare, ha bisogno di tempo. I giovani, invece, sono costretti a vivere come se ogni istante fosse definitivo, senza mai la possibilità di assaporarlo veramente.

Pensiamo, ad esempio, al mondo della scuola: programmi carichi, compiti che si accumulano e una continua pressione per ottenere buoni voti. Non c’è spazio per sbagliare, riflettere o esplorare strade alternative. Lo stesso vale per il mondo del lavoro, dove i giovani sono spinti a essere già formati, esperti e competitivi, senza alcuna considerazione per il tempo necessario a crescere. E poi ci sono i social media, che creano un flusso costante di contenuti e notifiche, spingendo a una frenesia che non permette mai di fermarsi. Vivere tutto così velocemente significa non vivere affatto.

La domanda inevitabile è: chi ha costruito questa società che esige tutto e subito? La risposta ci porta a noi stessi.

Siamo noi che perpetuiamo questa cultura della velocità. Siamo noi che spingiamo i ragazzi ad eccellere in tutto fin da piccoli, che giudichiamo in base a risultati immediati e che premiamo la produttività più del processo creativo. Anche il sistema educativo e il mondo del lavoro sono stati progettati per valorizzare l’efficienza e il risultato, ignorando l’importanza del percorso, dell’apprendimento lento e della riflessione.

Se siamo responsabili, abbiamo però anche la possibilità di cambiare le cose. Una soluzione potrebbe essere, ad esempio, introdurre spazi di lentezza nella scuola. Ridurre la quantità per migliorare la qualità, lasciare che i ragazzi abbiano il tempo di approfondire e riflettere, invece di inseguire programmi interminabili. Si potrebbero creare momenti dedicati alla creatività e all’immaginazione, dove non ci siano voti o giudizi, ma solo il piacere di esplorare il proprio mondo interiore.

Un’altra strada potrebbe essere quella di educare a un uso più consapevole della tecnologia. Insegnare ai giovani che non devono essere sempre connessi, che possono prendersi una pausa dai social senza perdere nulla di importante. Magari creando attività che richiedano di stare offline, in cui possano riscoprire il piacere di parlare, ascoltare o semplicemente stare in silenzio.

Anche il tempo libero merita di essere rivalutato. Spesso viene visto come un lusso o una perdita di tempo, ma invece è fondamentale per il benessere e la creatività. Si dovrebbe insegnare ai giovani a non temere la noia, ma a considerarla un’opportunità per inventare, immaginare e scoprire nuove passioni. Il tempo libero non dovrebbe essere riempito di attività obbligatorie, ma lasciato aperto alla spontaneità.

Nel mondo del lavoro, sarebbe importante promuovere un modello che valorizzi il tempo per imparare, per sbagliare, per riprovare. Le aziende potrebbero adottare politiche che favoriscano un equilibrio tra vita privata e lavoro, evitando di alimentare la cultura del burnout.

Infine, dovremmo creare più momenti di dialogo tra generazioni, offrendo ai giovani un ascolto sincero, condividere esperienze e storie, senza giudicarli o imporre modelli predefiniti. Spazi di confronto in cui i giovani possano parlare dei loro sogni, sentirsi capiti e ispirati.

Come società, dobbiamo riflettere su cosa stiamo offrendo alle nuove generazioni. Possiamo continuare a celebrare la velocità, o possiamo impegnarci a creare spazi di lentezza, dove i giovani possano ascoltare i propri pensieri, assaporare le esperienze e costruire sogni che non siano immediati, ma duraturi. Forse, rallentando, potremmo restituire loro il futuro che meritano. Non un traguardo da raggiungere a tutti i costi, ma un viaggio da vivere pienamente. 

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